This site uses cookies.
Some of these cookies are essential to the operation of the site,
while others help to improve your experience by providing insights into how the site is being used.
For more information, please see the ProZ.com privacy policy.
Freelance translator and/or interpreter, Verified site user
Data security
This person has a SecurePRO™ card. Because this person is not a ProZ.com Plus subscriber, to view his or her SecurePRO™ card you must be a ProZ.com Business member or Plus subscriber.
Affiliations
This person is not affiliated with any business or Blue Board record at ProZ.com.
Italian to French: Un futuro per le staminali General field: Art/Literary Detailed field: Journalism
Source text - Italian Un futuro per le staminali
ARMANDO MASSARENTI, Staminalia. Le cellule “etiche” e i nemici della ricerca, Parma, Guanda, pp. 205, € 14,50
Nel suo romanzo The Race, del 2007, Richard North Patterson descrive la corsa alla Casa Bianca di un candidato repubblicano, un uomo onesto che si scontra con i pregiudizi della destra americana, tra cui il divieto di condurre ricerca sulle cellule staminali embrionali. Questo gli sembra bloccare la speranza che molti nutrono di eliminare le sofferenze di milioni di uomini. Il protagonista – la cui immagine riflette le aspettative di un cambio di presidenza a Washington – dichiara infine di avere capito che «le cellule staminali adulte sono una diversione: la scienza non sta lì». Il vero problema, conclude, è rappresentato dall’uso strumentale e distorto che se ne fa a fini politici e religiosi.
Il libro di Patterson, che ha avuto una larga diffusione anche a livello popolare, costituisce una testimonianza di come una questione così tecnicamente complessa – in grado di coinvolgere, in linea di principio, solo un gruppo relativamente ristretto di scienziati – sia nota al largo pubblico proprio in quanto la posta in gioco non è esclusivamente scientifica.
Negli Stati Uniti, dove forte era l’influenza del fondamentalismo religioso sul newborn George W. Bush, la polemica è stata innescata dal suo divieto di usare fondi pubblici per le ricerche sulle embrionali. La loro distruzione viene, infatti, paragonata all’aborto e presentata, come è accaduto del resto anche in Italia, con slogan quali “La strage degli innocenti” o “L’embrione è uno di noi”.
Bush non è, tuttavia, arrivato fino al punto di bandire la ricerca finanziata da fondi privati. In Italia, invece, una proposta di legge di Francesco Rutelli del 30 settembre 2005 mirava a rendere impossibile la ricerca sulle embrionali sulla base di presunte considerazioni etiche. Per fortuna questa proposta non è mai stata convertita in legge e ora, con l’elezione di Barack Obama, che ha nel suo programma elettorale l’abolizione del bando imposto da Bush, il clima politico dovrebbe mutare anche a livello internazionale.
Se ormai quasi tutti hanno sentito nominare le “staminali embrionali” o “adulte”, pochi sanno realmente di cosa si tratta. A mettere a fuoco tali questioni è quindi benvenuta l’esemplare lucidità, la messe di informazioni, l’ironia (talvolta amara), l’acume e la passione civile di Armando Massarenti. Il suo libro ossigena la mente e aiuta a vedere i problemi al di là del polverone dell’ignoranza, della banalità e della malafede che la cattiva politica e la superficialità dei media vi hanno addensato.
Come si può fare chiarezza su un argomento di così decisiva importanza? L’uso delle cellule staminali per curare malattie, come l’Alzheimer o il diabete, è stato definito la più grande promessa del XXI secolo, tanto che il preside della facoltà di Medicina di Harvard ha potuto affermare che «è probabile che potranno fare per le malattie degenerative quello che gli antibiotici hanno fatto per le infezioni».
Quali opportune distinzioni occorre tuttavia introdurre per dissipare gli equivoci più o meno interessati? Gli scienziati hanno sperimentato sia le cellule staminali embrionali, quelle tratte dalla blastocisti “ammasso di cellule che corrisponde alla fase-pre-embrione” attorno al quinto giorno dalla fecondazione dell’ovocita, sia le cellule staminali adulte, estratte da tessuti o organi del corpo. Le blastocisti forniscono le staminali embrionali, ossia cellule non specializzate che possono essere indotte a differenziarsi e che sono multipotenti, nel senso che possono specializzarsi, producendo molti altri tipi di cellule. Le staminali embrionali sembrano attualmente godere di un vantaggio rispetto a quelle adulte, le quali «hanno fisiologicamente un potenziale minore». Comunque sia, le ricerche possono e devono essere condotte nelle due direzioni (embrionali e adulte), perché ancora non si è in grado di scegliere le vie più convenienti per ogni genere di malattia e problemi rilevanti sorgono in ognuno dei due percorsi di indagine.
Eppure la promettente ricerca sulle cellule staminali embrionali è stata demonizzata da pregiudizi ideologici, amplificati da una campagna di stampa faziosa e piena di falsità, che ha dato credito, a esempio, alle millanterie del medico americano David Prentice, secondo cui mediante le staminali adulte si possono curare ben sessantacinque malattie (numero, peraltro, in crescita dopo il 2006). Tutto ciò ha alimentato illusioni di cure miracolose, e finanziariamente redditizie per i loro promotori. Sono così fiorite le truffe da parte di chi promette impunemente la guarigione da numerose malattie grazie al trapianto di staminali adulte, tratte dal corpo o dal liquido amniotico.
Dettata dall’ignoranza e dallo zelo, si è radicata la confusione tra blastocisti, embrione e persona. Poiché le blastocisti umane non sono ancora degli embrioni, nel distruggere quelle soprannumerarie, risultanti delle varie prove di fecondazione in vitro (ce ne sono 450.000 solo negli Stati Uniti, che andranno comunque eliminate, perché non si possono tenere in eterno nell’azoto liquido a 196 gradi sotto zero), non si elimina affatto un embrione e, tanto meno, si uccide una persona o una vita umana. Questa frase di Edoardo Boncinelli, posta in esergo al volume di Massarenti, descrive esattamente lo stato delle cose: «Se le cellule presenti nella blastocisti fossero già un embrione o fossero irreversibilmente avviate a esserlo, non servirebbero nemmeno come cellule staminali. Sono invece utili proprio perché non sono un embrione».
La guerra degli annunci e delle rettifiche è sempre in corso. In un inserto dell’Avvenire del 29 novembre 2007, per esempio, si dichiarava trionfalmente che due scienziati, l’americano James Thomson e il giapponese Shinya Yamanaka, utilizzando cellule staminali adulte tratte da pelle umana, erano riusciti a ringiovanirle e a trasformarle in cellule pluripotenti. Questo risultato, si diceva con evidente soddisfazione e spirito di rivincita nei confronti dei cosiddetti “laicisti”, è una vittoria postuma del presidente George W. Bush.
Ora, Yamanaka è effettivamente riuscito a riprogrammare le cellule adulte di topo trasformandole in staminali “similembrionali”, secondo un procedimento che funziona anche per gli uomini. Thomson, a sua volta, ha usato un metodo analogo. Però questo scienziato, che è un’autorità nel suo campo (dopo aver sperimentato nel 1994 la produzione di staminali embrionali da blastocisti di scimmia, è stato il primo nel 1998 a isolare le embrionali umane), ha messo bene in chiaro che questa scoperta non elimina affatto la necessità di studiare le embrionali. E questo perché il procedimento di Yamanaka e quello stesso da lui seguito presentano ancora dei gravi inconvenienti, tra cui una maggiore incidenza del cancro, poi ridotta eliminando uno dei quattro retrovirus. Malgrado quello che dice l’Avvenire, Yamanaka ha, inoltre, utilizzato degli embrioni, il che ripropone gli scrupoli etici che si vogliono eliminare.
In che fase poi l’embrione diventi un individuo e debba essere considerato persona è oggetto di dibattito: dopo il quattordicesimo giorno dalla fecondazione come suggerisce il salesiano Norman Ford e la filosofa Mary Warnock, presidente della prima importante Commissione su questioni di bioetica? Quando riceve, secondo il san Tommaso della Summa contra gentiles, l’«anima intelligibile», dopo il quarto mese? Ha ragione l’insospettabile filosofo del “personalismo” Jacques Maritain (alle cui posizioni, in altri campi, Paolo VI e Aldo Moro si sentivano vicini) a sostenere che è assurdo «ammettere che un feto umano dall’istante del suo concepimento riceva l’anima intellettiva», perché sarebbe come «chiamare “bebè” un ovulo fecondato»? O, infine, è nel giusto il filosofo della scienza cattolico Evandro Agazzi a riconoscere che, per essere persona, è necessario che l’insieme di cellule che formeranno l’essere umano raggiunga lo stadio dell’individualità?
Dove il libro di Massarenti mostra, a più largo raggio, il suo impegno (e il suo trattenuto, ma comprensibile sdegno) civile è nel capitolo “La via italiana. Quando l’etica è il segno del declino”, dove, confutando l’idea che la scienza non abbia una sua propria etica e che debba sempre e comunque riceverla dall’esterno, si concentra su quello che è un vizio nazionale: la distribuzione dei finanziamenti pubblici secondo criteri discutibili e, soprattutto, senza peer-review, vale a dire quel sistema i cui scopi tendono, secondo il ricercatore americano Tom Abate, a «preservare l’integrità di giudizio attraverso il superamento dei tre peccati capitali della vita intellettuale: invidia, favoritismo, plagio». La peer-review non è perfetta, ma è la miglior forma disponibile per promuovere il progresso scientifico: «È proprio forse perché somiglia alla democrazia e allo stato di diritto, e ne condivide i valori di fondo», conclude Massarenti, «che in Italia non viene applicata». I motivi sono sotto gli occhi di tutti: «familismo amorale, favoritismi, conflitti d’interesse, autoreferenzialità».
Per l’autore di questo libro la battaglia per la democrazia è anche una battaglia per la verità, tesa a smascherare gli ideologemi e le menzogne che la propaganda politica e religiosa pretende di spacciare per veri. Nel miglior spirito dell’Illuminismo, che coniuga lo spirito critico con la verità, Massarenti non teme quest’ultima parola e si batte anzi, ma senza dogmatismi, contro lo spauracchio del relativismo.
Smonta così la genealogia che fa risalire a Nietzsche quest’ultima posizione e riconosce che, sebbene non ci siano verità assolute, immodificabili e incontrovertibili, esistono però princìpi in grado di generare teorie che «spiegano un numero infinito di osservazioni» e «fondano la nostra interpretazione di tali osservazioni le quali, a loro volta, rafforzano la nostra fede nel principio».
Translation - French Un avenir pour les cellules souches
ARMANDO MASSARENTI, Staminalia. Le cellule “etiche” e i nemici della ricerca, Parma, Guanda, pp. 205, € 14,50
Dans son roman The Race publié en 2007, Richard North Patterson décrit la course à la Maison Blanche d’un candidat républicain intègre qui se heurte aux préjugés de la droite américaine, parmi lesquels l’interdiction de promouvoir la recherche sur les cellules souches embryonnaires. Ce véto anéantit selon lui l’espoir, que nourrissent de nombreux citoyens, d’éliminer les souffrances de millions d’êtres humains. Le personnage principal – dont la figure reflète les attentes d’un changement de présidence à Washington – confesse finalement avoir compris que « les cellules souches adultes représentent une diversion : la science ne s’arrête pas là ». Le véritable problème, conclut-il, est l’exploitation détournée que l’on en fait à des fins politiques et religieuses.
Le livre de Patterson, qui a eu une très large diffusion, illustre très bien le fait qu’une question aussi techniquement complexe – ne concernant en principe qu’un nombre restreint de chercheurs – est connue du grand public, précisément parce que l’enjeu n’est pas exclusivement scientifique.
Aux États-Unis, George Bush, sous la puissante influence des fondamentalismes religieux, a déclenché une polémique lors de son second mandat en interdisant d’utiliser les fonds publics pour la recherche sur les cellules embryonnaires. Leur destruction, comparée à l’avortement, est présentée, comme cela le fut par ailleurs en Italie, au moyen de slogans tels que « Le massacre des innocents » ou « L’embryon est une personne ».
Bush n’est cependant pas allé jusqu’à interdire la recherche financée par les fonds privés. En Italie, en revanche, une proposition de loi de Francesco Rutelli du 30 septembre 2005 visait, au nom de prétendues considérations éthiques, à rendre impossible la recherche sur les cellules embryonnaires. Fort heureusement, cette proposition n’a jamais été adoptée et aujourd’hui, avec l’élection de Barack Obama, qui prévoit dans son programme électoral d’abroger le décret imposé par Bush, le climat politique devrait évoluer, et ce même à l’échelle internationale.
Si la majorité des personnes a désormais entendu parler des « cellules souches embryonnaires » ou de « cellules souches adultes », très peu sont ceux qui savent réellement de quoi il s’agit. La lucidité exemplaire, la moisson d’informations, l’ironie (parfois amère), la perspicacité et la passion civique d’Armando Massarenti arrivent à point nommé pour éclaircir de telles questions. Si son livre permet d’aérer l’esprit, il aide également à comprendre les problèmes au-delà des controverses déclenchées par l’ignorance, la banalité, la superficialité et la mauvaise foi de certains politiciens et médias.
Comment peut-on mettre en lumière un sujet d’une importance aussi cruciale ? Les cellules souches représentent aujourd’hui une réelle promesse pour le traitement de certaines maladies, telles que l’Alzheimer ou le diabète, tant et si bien que le doyen de la faculté de Médecine de Harvard a affirmé qu’ « il est probable qu’elles pourront faire pour les maladies dégénératives ce que les antibiotiques ont fait pour les infections ».
Quelles distinctions faut-il cependant introduire pour dissiper les équivoques plus ou moins intéressées ? Les scientifiques ont aussi bien testé les cellules souches embryonnaires, extraites du blastocyste – « amas de cellules correspondant à la phase pré-embryon » – autour du cinquième jour suivant la fécondation de l’ovocyte, que les cellules souches adultes, prélevées sur des tissus ou des organes du corps humain. Les blastocystes fournissent les cellules embryonnaires, à savoir les cellules non spécialisées pouvant être incitées à se différencier ; celles-ci sont multipotentes, c’est-à-dire qu’elles peuvent se spécialiser en produisant plusieurs autres types de cellules. Il semble actuellement que les cellules souches embryonnaires soient avantagées par rapport à celles adultes, lesquelles « disposent physiologiquement d’un plus faible potentiel ». Quoi qu’il en soit, les recherches peuvent et doivent être menées dans les deux directions (embryonnaires et adultes), car l’on n’est pas encore en mesure de choisir le moyen le plus approprié à chaque type de maladie, d’autant que d’importants problèmes surgissent dans les deux voies de recherche.
Bien que prometteuse, la recherche sur les cellules souches embryonnaires a été diabolisée par des préjugés idéologiques, amplifiés par une campagne de presse tendancieuse et truffée de mensonges, qui a donné crédit, par exemple, aux élucubrations du médecin américain David Prentice, lequel prétend pouvoir soigner pas moins de soixante cinq maladies grâce aux cellules souches adultes (un chiffre d’ailleurs en hausse depuis 2006). Tout ceci a créé et entretenu de faux espoirs de traitements miraculeux et particulièrement fructueux pour leurs promoteurs. Les escroqueries se sont ainsi multipliées, notamment celles qui promettent impunément la guérison de nombreuses maladies grâce à la greffe de cellules souches adultes, extraites du corps humain ou du liquide amniotique.
Causée par l’ignorance et le zèle, une confusion s’est dorénavant installée entre les termes blastocystes, embryons et personnes. Les blastocystes humains, rappelons-le, ne sont pas encore des embryons. Aussi, si l’on supprime ceux surnuméraires, issus des différents essais de fécondation in vitro (il y en a 450 000 rien qu’aux Etats-Unis, qui seront de toute façon détruits, car on ne peut les tenir éternellement dans de l’azote liquide à une température de moins 196 degrés), on n’élimine ni ne tue aucun embryon ou vie humaine. Une phrase d’Edoardo Boncinelli placée en exergue de l’ouvrage de Massarenti décrit exactement l’état des choses : « Si les cellules présentes dans le blastocyste s’étaient déjà transformées en embryon, ou si elles étaient sur le point de le faire, elles ne pourraient même plus être utilisées comme cellules souches. C’est précisément parce qu’elles ne le sont pas encore devenues qu’elles sont utiles ».
La guerre des annonces et contre-annonces est toujours en cours. Un article tiré de l’Avvenire du 29 novembre 2007 déclarait triomphalement, par exemple, que deux scientifiques, l’américain James Thomson et le japonais Shinya Yamanaka, étaient parvenus à rajeunir et à transformer en cellules pluripotentes des cellules souches adultes prélevées sur la peau humaine. Le journaliste affirmait, avec une satisfaction évidente et un esprit de revanche à l’égard des « laïcistes », qu’un tel résultat représentait une victoire posthume du président George W. Bush.
Aujourd’hui, Yamanaka a effectivement réussi à reprogrammer les cellules adultes de souris en les transformant en cellules souches semblables à celles embryonnaires, selon un procédé qui fonctionne également sur les êtres humains. Bien qu’ayant utilisé une méthode analogue, Thomson, qui fait autorité dans son domaine (après avoir expérimenté en 1994 la production de cellules souches embryonnaires à partir de blastocystes de singe, il a été le premier en 1998 à isoler les cellules embryonnaires humaines), a expliqué clairement que cette découverte n’excluait absolument pas la nécessité d’étudier les cellules souches embryonnaires, car le procédé utilisé par Yamanaka et lui-même présentait encore de graves inconvénients, parmi lesquels une plus forte incidence du cancer (qui peut par la suite être réduite en éliminant l’un des quatre rétrovirus). En outre, malgré ce qu’affirme l’Avvenire, Yamanaka a utilisé des embryons, ravivant ainsi les préoccupations d’ordre éthique que l’on souhaite supprimer.
D’autre part, le stade auquel l’embryon devient un individu est sujet à controverses. Doit-il être considéré comme une personne après le quatorzième jour de fécondation, comme le suggèrent le salésien Norman Ford et la philosophe Mary Warnock, présidente de la première importante Commission portant sur des questions de bioéthique ? Ou bien après le quatrième mois, quand il reçoit ce que Saint Thomas d’Aquin définit dans son Summa contra gentiles par « âme intellectuelle » ? Jacques Maritain, l’insoupçonnable philosophe du « personnalisme » (Paolo VI et Aldo Moro étaient, dans d’autres domaines, proches de ses positions), a-t-il raison lorsqu’il soutient qu’il est absurde « d’admettre qu’un fœtus humain reçoit l’âme intellectuelle dès l’instant de sa conception », car cela équivaudrait à « appeler "bébé" un ovule fécondé » ? Enfin, Evandro Agazzi, philosophe des sciences et catholique, est-il dans le vrai en reconnaissant qu’il est nécessaire, pour être une personne, que l’ensemble des cellules qui formeront l’être humain atteignent le stade de l’individualité ?
C’est dans le chapitre « La voie italienne. Quand l’éthique est le signe du déclin » que Massarenti témoigne plus ouvertement de son engagement (et de son indignation, retenue mais légitime). Rejetant l’idée selon laquelle la science ne possède pas sa propre éthique et doit toujours, par conséquent, la recevoir de l’extérieur, l’auteur se concentre sur ce qui est défini comme un vice national : la distribution des financements publics selon des critères discutables et, surtout, sans peer-review, un système dont l’objectif est, selon le chercheur américain Tom Abate, de « garantir l’intégrité du jugement en vainquant les trois péchés capitaux de la vie intellectuelle : envie, favoritisme, plagiat ». Le peer-review n’est pas parfait, mais c’est la meilleure forme disponible pour promouvoir le progrès scientifique : « C’est peut-être précisément parce qu’il ressemble à la démocratie et à l’état de droit – partageant d’ailleurs les mêmes valeurs de base – », conclut Massarenti, « qu’il n’est pas appliqué en Italie ». Les raisons sont à la vue de tous : « favoritisme, "familisme amoral", "autoréférentialité", conflit d’intérêt ».
Pour l’auteur de ce livre, la bataille pour la démocratie est également un combat pour la vérité, visant à démasquer les mensonges et les idéologies que la propagande politique et religieuse veut faire passer pour vrais. Dans le plus pur respect de l’esprit des Lumières, qui marie idéalement esprit critique et vérité, Massarenti ne craint pas ce dernier mot, et se bat, sans dogmatisme aucun, contre la bête noire du relativisme.
Il bouscule ainsi la généalogie qui fait remonter cette doctrine à Nietzsche et, bien qu’il n’y ait aucune vérité absolue, immuable et incontestable, il reconnaît cependant qu’il existe des principes capables d’engendrer des théories qui « expliquent un nombre infini d’observations » et « fondent notre interprétation de ces observations, lesquelles renforcent notre foi en ces principes ».
Italian to French: Cosa sfugge alla stampa estera nelle critiche all'Italia General field: Art/Literary Detailed field: Journalism
Source text - Italian Chi legge in queste settimane i principali giornali stranieri ha l'impressione che non riescano a comprendere con equilibrio, e dunque a raccontare con esattezza, il nostro paese ai loro rispettivi pubblici nazionali. Il più delle volte si accostano all'Italia mescolando sguardo folklorico e superficialità, malcelato senso di superiorità e sciatteria analitica, moralismo e disattenzione, oscillando tra l'antico disprezzo per the Italians/les Italiens/los Italianos e l'ostentazione di un aristocratico distacco. Manca lo sforzo di spiegare che Berlusconi è al governo non solo in virtù di un evidente strapotere mediatico-informativo e del conflitto di interessi, ma soprattutto perché garantisce e rappresenta interessi concreti e reali di ampie fasce della popolazione nel paese e perché non esiste un'alternativa politica credibile nell'altro fronte, in grado di proporre una diversa, e più convincente, idea di Italia. Tale situazione favorisce la saldatura tra l'anti-italianismo dei commentatori stranieri e l'elitarismo di un pezzo di cultura italiana che ama il proprio paese, ma al tempo stesso lo rifiuta, perché lo vorrebbe diverso da ciò che è. A costoro gli italiani piacciono solo se sono in pochi, i proverbiali quattro gatti, una miagolante e raffinata minoranza illuminata che si muove al ritmo della marcetta dell'eterno Gaber: «Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono», tra nostalgia opportunista e il qualunquismo colto. Non sappiamo se il declino di Berlusconi sia cominciato, ma se così fosse siamo certi che sarà un processo lento e irto di asprezze. Ne è un ulteriore indizio lo scatto con cui il premier modula la comunicazione grazie a un parasillogismo populistico: l'Italia è con me e quindi chi è contro di me è anti-italiano; chi parla male di Berlusconi, parla male dell'Italia. E ancora: i giornali stranieri stanno sputtanando l'Italia, ma la democrazia, la ricchezza produttiva del paese e il presidente del Consiglio sono una cosa sola: prendere o lasciare. A ben guardare, ad alimentare il coro anti-berlusconiano della stampa estera c'è un sentimento anti-italiano profondo che è un fattore culturale di lunga durata. Il presidente del Consiglio con i suoi comportamenti fa di tutto per non smentirlo e i commentatori stranieri si sentono invitati a nozze: c'è chi torea, chi gioca di scherma e chi fa caccia alla volpe, in base alle specialità sportive nazionali. La preda resta l'Italia. Sembrerà curioso, ma gioca anche un sentimento di invidia per un paese che, nonostante tutto, riesce a rimanere a galla. Se volgiamo lo sguardo agli ultimi cinquant'anni di storia europea sono accadute cose semplici e inspiegabili: l'Italia è la settima economia del pianeta, malgrado abbia perduto una guerra e sia uscita da vent'anni di dittatura; nello stesso arco di tempo la Francia e l'Inghilterra hanno visto sbriciolarsi secolari imperi, sogni di gloria e le velleità che alimentavano la loro politica mondiale; per non parlare della Spagna, che l'impero l'ha perduto tre secoli fa e sembra non essersene ancora accorta malgrado il crack immobiliare. Qualcosa sfugge agli osservatori stranieri: tra l'Italia di Berlusconi che urla al golpe e l'altra che urla al regime, c'è la maggioranza di questo paese, indignata nel vedere la propria nazione alla berlina dell'opinione pubblica internazionale, ma allo stesso tempo scettica sugli argomenti del governo. L'anti-italianità viene da lontano, perché la crisi dello Stato nazione non è stata certo accompagnata da un affievolimento degli stereotipi etnici con cui da secoli ci guardiamo in cagnesco gli uni con gli altri. Esistono carte politiche europee, ma anche mappe mentali, psicologiche e antropologiche i cui confini sono invisibili, ma solidissimi, tracciati da luoghi comuni e antiche rivalità mai sopite.
Translation - French Ceux qui ont lu, ces dernières semaines, les principaux journaux étrangers ont le sentiment que ces derniers ne parviennent pas à comprendre objectivement, et donc à raconter avec exactitude, notre pays à leurs lecteurs. Le plus souvent, ils abordent l’Italie avec un regard mêlant folklore et superficialité, sentiment de supériorité à peine voilé et analyse grossière, moralisme et inattention, oscillant entre le classique mépris pour les Italiens/the Italians/los Italianos et l’ostentation d’une désinvolture aristocratique. Ils n’expliquent cependant jamais que Berlusconi est au pouvoir, certes en raison de son conflit d’intérêts et de son énorme pouvoir médiatique, mais aussi, et surtout, parce qu’il garantit et représente les intérêts concrets et réels de diverses couches de la population italienne, sans oublier qu’il n'y a pas en face une alternative politique capable de proposer une idée différente, et plus convaincante, de l’Italie.
Cette situation favorise l’union entre l’anti-italianisme des commentateurs étrangers et l’élitisme d’une partie de l’intelligentsia italienne qui aime son pays tout en le reniant parce qu’elle le voudrait différent de ce qu’il est. Cette dernière n'aime les Italiens que s’ils sont peu nombreux, s’ils représentent une minorité raffinée et éclairée qui se déplace au rythme de la célèbre chanson de l'humoriste Giorgio Gaber : "Je ne me sens pas italien mais heureusement, ou malheureusement, je le suis", oscillant entre un opportunisme nostalgique et un quelconquisme cultivé.
Nul ne sait si le déclin de Berlusconi a commencé, mais si tel est le cas, ce sera à coup sûr un processus lent et semé d’embûches, comme en témoigne le syllogisme populiste prononcé par le Cavaliere : "L’Italie est avec moi, donc celui qui est contre moi est anti-italien ; qui dit du mal de Berlusconi, dit du mal de l’Italie". Ou encore : "Les journaux étrangers bafouent l’Italie, mais la démocratie, la richesse productive du pays et le président du Conseil ne forment qu’un : c’est à prendre ou à laisser".
A bien y regarder, c’est un sentiment anti-italien profond - facteur culturel de longue date - qui alimente l’antiberlusconisme de la presse étrangère. Le président du Conseil, avec ses agissements, fait tout pour ne pas le démentir et les commentateurs étrangers n’en demandent pas mieux : il y a ceux qui toréent, ceux qui manient le fleuret et ceux qui chassent le renard, selon leur sport national. La proie reste cependant l’Italie. Cela pourra sembler curieux, mais un autre élément entre en jeu : le sentiment de jalousie envers un pays qui, malgré tout, parvient à s’en sortir.
Si l’on examine les cinquante dernières années de l’histoire européenne, on remarque que des choses simples et inexplicables se sont déroulées : l’Italie est la septième puissance économique mondiale, et ce bien qu’elle ait perdu une guerre et connu vingt années de dictature ; durant le même laps de temps, la France et l’Angleterre ont vu s’émietter leurs empires séculaires, leurs rêves de gloire ainsi que les velléités qui alimentaient leur politique mondiale ; sans parler de l’Espagne, qui a perdu son empire il y a maintenant trois siècles et semble ne pas s’en être encore rendue compte malgré le crach immobilier.
Quelque chose échappe aux observateurs étrangers : il y a, entre l’Italie de Berlusconi qui crie au coup d’État médiatico-judiciaire et celle de ses opposants qui crient au régime autoritaire, la majorité de ce pays, indignée de voir sa nation être la risée de l’opinion publique internationale, mais en même temps sceptique quant aux arguments du gouvernement. L’anti-italianisme ne date pas d’hier, car la crise de l’Etat-nation n’a évidemment pas été accompagnée d’une atténuation des stéréotypes ethniques véhiculés depuis des siècles, qui font que l’on continue de se regarder en chiens de faïence. Il existe des cartes politiques européennes, mais aussi mentales, psychologiques et anthropologiques dont les limites, invisibles mais rigides, ont été tracées par des lieux communs et d’anciennes rivalités jamais apaisées.
Italian to French: Perdido street General field: Art/Literary Detailed field: Poetry & Literature
Source text - Italian Perdido sreet
Premiers froids
A l’angle de la 72nd et de la Colombus avenue
Il joue du saxophone et bat ses semelles décollées en suivant le rythme
Cheveux noirs, barbe blanche, sans âge
Le son est aussi beau qu’un velours très ancien
répercuté par la cage de ces maisons
de briques rouges
Les ménagères posent leurs filets pleins de maïs
ou de patates douces et écoutent
L’une se signe, une autre à des larmes qui perlent
Un livreur s’arrête, pose son vélo contre un acacia
et se met, les yeux fermés, à onduler
comme un cobra
J’ai retrouvé l’air qu’il joue : Perdido street blues
Le chapeau bosselé et crasseux qu’il a posé devant lui se remplit de dollars
America… !
Quand le vent lui chipe un billet, il pose
le pied dessus sans cesser de jouer
Les boutiquiers coréens, vietnamiens, portoricains
sont tous sur leur seuil pour ne rien perdre
de ce miracle
et se mettent à tortiller du cul
Ma jeunesse m’est revenue comme une gifle
Ma tête était devenue une ruche d’abeilles dorées
Suis resté là, longtemps, avec cette musique
qui emportait mon temps perdu
comme billes de bois flotté
Translation - French Perdido street
Primi freddi
All’angolo della 72esima e della Colombus avenue
Lui suona il sassofono e batte le suole scollate seguendo il ritmo
Capelli neri, barba bianca, senza età
Il suono è bello quanto un velluto antico
rimbalzato dalla gabbia di queste case
di mattoni rossi
Le casalinghe posano le loro sporte ricolme di mais
o di patate dolci e ascoltano
Una si segna, un’altra ha il viso perlato di lacrime
Un fattorino si ferma, posa la bici contro un’acacia
e, ad occhi chiusi, si mette ad ondeggiare
come un cobra
Ora ricordo questa melodia: Perdido street blues
Il cappello ammaccato e sudicio che ha posato davanti a sé si riempie di dollari
America…!
Quando il vento gli soffia via un biglietto, lui posa
sopra il piede senza smettere di suonare
I bottegai coreani, vietnamiti, portoricani
son tutti sulla soglia per non perdere nulla
di questo miracolo
e si mettono a sculettare
Come uno schiaffo mi è tornata la gioventù
La mia testa era diventata un alveare di api dorate
Son rimasto lì, a lungo, con quella musica
che rubava il mio tempo perduto
come tronchi portati via dalla corrente
French to Italian: Turkestan chinois General field: Art/Literary Detailed field: Poetry & Literature
Source text - French Turkestan chinois
Quarante ans que tu rêvais de ce lieu
tranchée fertile dans le sable rouge infini
Ce soir c’est une tonnelle d’ombre bleue
où l’eau bruit sans se laisser voir
Le jour exténué, le corps fourbu,
les pupilles brûlées, la peau séchée par le vent
s’y retrouvent et conspirent en secret
La chanteuse a les yeux cernés de fatigue
j’aime beaucoup cette musique d’assassins
Un coup d’archet strident tranche une gorge
cithare et clarinette saignent
en grappes de groseilles tièdes
La voix de cette femme : rêche, bourrée de sang
elle module et se plaint
elle éteint les étoiles
Tout est désormais plaie et douceur
Translation - Italian Turkestan cinese
Quarant’anni a sognare questo posto
trincea fertile nell’infinita sabbia rossa
Questa sera è un pergolato d’ombra blu
in cui l’acqua rumoreggia di nascosto
Il giorno esausto, il corpo stremato
le pupille bruciate, la pelle seccata dal vento
vi si ritrovano e cospirano in segreto
La cantante ha occhi cerchiati di stanchezza
adoro questa musica da assassini
Uno stridulo colpo d’archetto sgozza una gola
cetra e clarinetto sanguinano
a grappoli di ribes tiepidi
La voce di questa donna : ruvida, ricolma di sangue
modula e si lamenta
spegne le stelle
Ormai tutto è piaga e dolcezza
More
Less
Experience
Years of experience: 21. Registered at ProZ.com: Oct 2009.
Je suis né en 1972 dans la région Île-de-France. D’origine italienne, j’entretiens avec l’Italie une relation familiale et affective depuis ma plus tendre enfance, ce qui m’a valu d’être très tôt bilingue. Après avoir soutenu un mémoire de maîtrise de Langue, Littérature et Civilisation Italiennes (mention Très bien), j’ai complété mon cursus universitaire par une maîtrise d’Histoire de l’art à la Sorbonne.
Après avoir enseigné quelques années – français langue étrangère et histoire de l’art –, j’ai choisi d’embrasser la profession de traducteur en 2003, afin de poursuivre autrement mon amour des livres et des mots. Ma formation, tant littéraire que linguistique, m’a permis d’acquérir une grande polyvalence, qui m’assure aujourd’hui de pouvoir couvrir différents domaines avec sérénité. Je suis membre de l’A.I.T.I (Association Italienne des Traducteurs et Interprètes) depuis 2006, et vice-président de la section Ligurie depuis 2008.
Parallèlement à mes travaux de traduction, je collabore avec plusieurs maisons d’édition en qualité de réviseur et d’auteur (je crée des activités ludiques et interactives, et j’adapte des classiques de la littérature française pour des apprenants de français langue étrangère).
Aujourd’hui, je vis à Gênes, perché sur la colline de San Martino di Struppa, avec mon épouse Silvia et mes trois enfants, Lucia, Agata et Gabriel.
Sono nato nel 1972 nella regione Île-de-France. Di origine italiana, intrattengo con l’Italia una relazione familiare e affettiva fin dalla mia più tenera età, ciò che mi ha portato ad essere ben presto bilingue. Dopo essermi laureato in Lingua, Letteratura e Civiltà Italiane (110 e Lode), ho concluso la mia formazione universitaria discutendo una tesi di Storia dell’Arte all’Università Paris 1 Pantheon-Sorbonne.
Dopo aver insegnato per qualche anno – lingua francese e storia dell’arte –, ho scelto di abbracciare la professione di traduttore nel 2003 per coltivare in altro modo il mio amore per i libri e per le parole. La mia formazione, sia letteraria che linguistica, mi ha permesso di acquisire competenza su vari argomenti, cosa che oggi mi consente di lavorare con serenità su svariati temi. Sono socio dell’A.I.T.I (Associazione Italiana Traduttori Interpreti) dal 2006, e vicepresidente della sezione Liguria dal 2008.
In parallelo al lavoro di traduzione, collaboro con varie case editrici in qualità di revisore e di autore (creo attività ludiche e interattive e adatto classici della letteratura francese per dicenti di lingua francese).
Oggi, vivo a Genova, arroccato sulla collina di San Martino di Struppa, con mia moglie Silvia e i miei tre figli, Lucia, Agata e Gabriel.